Visitare la Biennale da soli può deprimere. Entrare al Padiglione Italia e trovarlo deserto è stato, per chi come me ama, non di rado, la sola compagnia di se stesso, un momento meraviglioso e di autentico profitto intellettuale. La mia visita si è intensamente trasformata in raccoglimento; davanti ad ogni opera di Liliana Moro mi sono raccolto. In un riuscitissimo ed elegiaco allestimento ho potuto cogliere, davanti ad ogni opera di Liliana, la persuasione formale che l’artista trasmette. Ad ogni passo del labirinto che labirinto non è (mi sentivo piuttosto in un luogo mentale sereno e accogliente), mi trovavo faccia a faccia con l’opera, in un momento giusto. Ma qual è il momento per incontrare l’opera? Di sicuro quando due entità, l’opera e colui che la osserva, si guardano, riuscendo in un reciproco sguardo. Ciò avviene quando l’opera ha volto; avviene quando chi osserva riesce a farsi volto dell’opera stessa, riuscendo in un gesto mentale e completo. Dopo anni di pensieri e riflessioni succede di raggiungere un senso di completezza davanti a delle elaborazioni artistiche. Al Padiglione tutte le opere di Lilli hanno volto, contribuendo all’incontro, non importa se raro, fra la cosa-opera e coloro che ne sono fortemente attratti. Ritardando il più possibile la fine della visita, mi sono seduto su un basamento di legno, tre gradini alti e bianchi, davanti all’opera, bellissima, intitolata Quattro stagioni. Riposandomi un poco mi sono deliziato di una verità oggi troppo rara: l’importanza di saper riconoscere le cose e da esse, anche, farsi riconoscere. Avviene fra due persone, avviene fra una persona e un’opera d’arte. Non ho potuto fare a meno di farmi guardare dai quattro ombrelloni e dall’insieme dell’opera. I quattro ombrelloni gentili, che tutto hanno trattenuto per decenni, mi hanno svelato il loro volto, della stessa materia di cui son fatto. 2019.